31 marzo 2016

Romanzi fra le due guerre

In queste settimane le mie letture sono comprese nell’Inghilterra fra le due guerre. Un’epoca fragile e di grandi cambiamenti, in cui le ferite del primo conflitto mondiale sono ancora visibili, ma si tenta di non parlarne, e in cui la minaccia dell’inumana tragedia che diromperà da lì a poco è ancora labile, ma già spaventosa. Corpi vili di Evelyn Waugh e L’amore in un clima freddo di Nancy Mitford sono due storie scintillanti, che raccontano la “meglio gioventù” (almeno dal punto di vista del rango) dell’Inghilterra del primo dopoguerra tra feste, pettegolezzi, drink, abiti smaglianti e trasgressioni di vario genere. 
Corpi vili è quasi privo di trama, e si svolge nel nonsense di una sequela infinita di ricevimenti, di scommesse, di gite, di bicchieri vino, di whisky e di gin. La banda di festaioli che occupa le sue pagine, alla costante e quasi faustiana ricerca di emozioni forti, all’inseguimento della nuova moda e dell’ennesima festa, si ritrova alla fine sconcertata in uno smarrimento di vita e d’amore, mentre su Londra incombe la lunga ombra della guerra che sta per cominciare. Si è paragonato Corpi vili a Il Grande Gatsby come rappresentazione estrema degli “anni ruggenti”: benché il romanzo di Waugh abbia un tono fortemente satirico che non era per niente l’intenzione di Fitzgerald, vi si ritrovano la stessa noia e la stessa aria decadente che non possono che suggerire la tragedia. 
In L’amore in un clima freddo di Nancy Mitford (Adelphi, trad. it. di Silvia Pareschi) invece, la voce narrante, Fanny, ci racconta la vita della bella e ricca amica Leopoldina “Polly” Montdore. Anche in questo caso non è tanto la trama ad attrarre l’attenzione, quanto il ritratto di un’epoca, indecisa tra il rigorismo del passato e la libertà promessa da una società in forsennato mutamento. Sulle straordinarie vicende della famiglia Mitford – una vita da romanzo – suggerisco di leggere l’articolo di Natalia Aspesi su Repubblica (16 giugno 2012).  
Completo il trittico con il libro che ho terminato giusto l’altroieri, Gli anni della leggerezza di Elizabeth Jane Howard, il primo atto della “Saga dei Cazalet” (Fazi Editore, trad. it. di M. Francescon: il secondo capitolo, Il tempo dell’attesa, è in uscita a metà aprile. Le copertine sono qualcosa di favoloso...). I Cazalet sono una numerosa famiglia composta dagli anziani genitori, vari fratelli con rispettive mogli e figli, una sorella zitella con la sua innamorata, bambini, tate, istitutrici, cognate, nipoti e cugini. Nell’estate del 1939 si ritrovano tutti a Home Place, la casa al mare, e ciascuno si porta dietro le proprie preoccupazioni. Nonostante infatti quelli siano – ancora per poco – “gli anni della leggerezza”, ogni membro della cerchia è costretto ad affrontare problemi di vario genere, del quale difficilmente parla ai familiari; sono bellissimi, in particolare, gli episodi che coinvolgono i bambini e i ragazzi, le cui ambasce sono tanto apparentemente frivole quanto serie e cruciali per la formazione della loro identità. 
Il tutto è immerso nella infinita bellezza della campagna inglese: «Andarono in macchina a Rye […]. Superarono campi di grano punteggiati di papaveri e distese di luppolo quasi maturo, attraversarono boschi di querce e castagni, percorsero stradine sui cui bordi alti crescevano grovigli di fragole di bosco, stellarie e felci, passarono accanto a staccionate ornate di rose canine tardive slavate dal sole e dentro paesi fatti di casine imbiancate a calce, coi loro giardini risplendenti di malvarose e gerani». La domesticità, poi, ha un ruolo importantissimo in questo romanzo, perché la casa costituisce contemporaneamente lo spazio del rifugio (dal caos di Londra e dalle notizie allarmanti che provengono dalla politica) e il luogo della sofferenza (a causa di crisi di famiglia, matrimoni fallimentari, gravidanze indesiderate, difficoltà economiche). Come per un retaggio dell’età vittoriana, l’autrice indugia sull’elencazione degli oggetti presenti nella casa, che hanno la funzione di rappresentare la personalità degli individui: nella stanza della giovane Louise abbondano programmi di teatro, premi di equitazione, fotografie, statuette di porcellana, lavori a maglia, rossetti, creme e libri; mentre il patriarca, Mr. Cazalet, è circondato da stampe con scene di caccia, caraffe di whisky, schedari, una collezione d’insetti e stampe e statuette indiane – perché l’India, magica e misteriosa terra che fu cifra dell’opulenza dell’Inghilterra imperiale, è stata, con la seconda guerra mondiale, anche il simbolo della sua caduta.