3 novembre 2015

Omicidi all'inglese - seconda puntata

Le storie di Auguste Dupin, linvestigatore dei racconti di Edgar Allan Poe, sono caratterizzate da un contesto urbano: sono tutti racconti ambientati a Parigi. Il corrispettivo inglese di Dupin, lo Sherlock Holmes di Arthur Conan Doyle (1859-1930), agisce soprattutto a Londra, confermando il diffuso senso di inquietudine sociale e psicologica dovuta alla improvvisa espansione e modernizzazione delle grandi città europee. Ha scritto il grande critico Walter Benjamin che “l’originale contesto sociale delle detective stories è l’annichilimento delle tracce dell’individuo nella folla che contraddistingue la grande città” (Saggi su Charles Baudelaire). Il primo libro in cui fa la sua comparsa Sherlock Holmes è Uno studio in rosso, del 1887, che introduce i personaggi di Holmes e di John Watson, un ex medico militare reduce della guerra in Afghanistan. Il loro sodalizio investigativo viene descritto in quattro romanzi (Uno studio in rosso, Il segno dei quattro, 1890, Il mastino dei Baskerville, 1902, La valle della paura, 1915) e in cinquantasei racconti, perlopiù scritti in prima persona dallo stesso Watson. La caratteristica principale delle avventure Sherlock Holmes è, oltre al metodo deduttivo ereditato da Dupin, la popolarizzazione della scienza criminologica, cioè l'applicazione del metodo scientifico alle investigazioni criminali. In particolare, l’osservazione dettagliata delle tracce lasciate sulla scena di un crimine è una strategia che rimane valida anche nelle storie poliziesche dei giorni nostri, come le serie televisive del tipo CSI. 
Padre Ronald Knox
Con Conan Doyle abbiamo cambiato secolo. L’ultima raccolta di racconti dedicati al suo celebre detective, Il taccuino di Sherlock Holmes, risale al 1927. Nello stesso anno il critico e poeta T.S. Eliot pubblica un articolo in cui traccia una sorta di elenco delle caratteristiche di un buon racconto “giallo” (tra queste, la norma che prevede la presenza nella storia di una casa di campagna inglese); nel 1929 compare un’altra serie di norme, firmata dal teologo e scrittore Ronald Knox (1888-1957), che cura la raccolta The Best Detective Stories e nell’Introduzione spiega che “il romanzo poliziesco di tipo deduttivo deve avere come principale interesse il dipanamento di un mistero, un mistero i cui elementi devono essere presentati in modo chiaro sin dalle prime battute di un racconto, e la cui natura sia tale da suscitare una certa dose di curiosità – una curiosità che deve alla fine essere gratificata.” Il famoso “decalogo di Knox” prevede, per esempio, che il colpevole devessere un personaggio che compare nella storia fin dalle prime pagine; che tutti gli interventi soprannaturali o paranormali devono essere esclusi dalla storia; che nessun evento casuale devessere di aiuto allinvestigatore e neppure lui può avere uninspiegabile intuizione che alla fine si dimostri esatta; che lamico stupido dellinvestigatore, («il suo dottor Watson»), non deve nascondere alcun pensiero che gli passa per la testa e la sua intelligenza deve essere al di sotto di quella del lettore medio. 
I comandamenti di Knox governarono la scrittura di tutte le opere risalenti alla cosiddetta Golden Age of Detective Fiction, un periodo compreso tra gli anni Venti e gli anni Trenta. La maggior parte degli esponenti di questa sorta di “scuola di scrittura” era di origine britannica, ma allo stesso gruppo sono considerati appartenere Georges Simenon, S.S. Van Dine, Raymond Chandler e Ellery Queen. La Golden Age si caratterizza anche per la scrittura femminile: a questo periodo risalgono infatti le opere delle “regine del giallo” Agatha Christie, Dorothy L. Sayers, Margery Allingham e la neozelandese Edith Ngaio Marsh. Dorothy Sayers e Agatha Christie furono anche presidentesse del cosiddetto “Detection Club”, un club di famosi scrittori di romanzi polizieschi fondato nel 1930 e ancora attivo (l’attuale presidente è Simon Brett, scrittore molto prolifico, drammaturgo e autore di programmi radiofonici per la BBC, molti dei cui romanzi sono ispirati alla tradizione della Golden Age).
Dorothy L. Sayers (1893-1957) fu una delle prime donne a laurearsi a Oxford. Oltre che scrittrice di gialli, fu la traduttrice (in inglese) della Divina Commedia e della Chanson de Roland. Tra le sue opere più conosciute c’è Gaudy Night (1935), di cui non c’è traduzione italiana, che è considerato il “primo romanzo del mistero femminista”, perché esamina la lotta delle donne nell’Inghilterra degli anni Trenta per la conquista dell’indipendenza, e soprattutto del diritto a un’istruzione universitaria. Il segreto delle campane (1934), invece, approfittando della trama criminale esplora un tema importantissimo per la cultura inglese: quello legato al mondo dei suonatori di campane. In questo giallo l’autrice presenta ai lettori il classico schema dell’omicidio che si verifica in un piccolo villaggio di campagna, e che in qualche modo coinvolge l’istituzione parrocchiale e il parroco stesso. Se questo modello narrativo è di grandissima attualità, perché è il fulcro della serie televisiva (tuttora in produzione) Grantchester – dove un parroco reduce della seconda guerra mondiale affianca un detective della polizia nella soluzione di una serie di omicidi – non c’è dubbio che fu di grandissima ispirazione per gli scrittori della Golden Age. 
La morte nel villaggio (1930), per esempio, il primo dei dodici romanzi di Agatha Christie in cui compare il personaggio di Miss Marple, ha come titolo originale The Murder at the Vicarage, ovvero “Omicidio in Canonica”. Agatha Christie (1890-1976), l’autrice più tradotta al mondo, ha fatto dello schema narrativo dell’omicidio che avviene in uno spazio ristretto e ben delimitato una specie di marchio di fabbrica. Questo spazio limitato può essere, appunto, il villaggio (idea che ha ispirato anche le famose serie televisive di genere “giallo” Murder, She Wrote, Midsomer Murders e il recente Broadchurch), come in C’è un cadavere in biblioteca, Assassinio allo specchio, Il terrore viene per posta, Un delitto avrà luogo. All’interno di una casa di campagna, ma di una famiglia benestante (come sosteneva T.S. Eliot), si sviluppa invece il primo romanzo in cui fa la sua comparsa il detective belga – rifugiato di guerra – Hercule Poirot. Il libro, che segnò il debutto di Agatha Christie sulla scena letteraria, è Poirot a Styles Court (1920). Sempre in una residenza di campagna dell’alta borghesia si svolgono Poirot e la salma, La parola alla difesa, I sette quadranti e Istantanea di un delitto – il cui omicidio, però, avviene su un treno, quello delle 4.50 da Paddington. 
In generale, Agatha Christie ha la tendenza a tracciare i confini di un ambiente e a presentare subito il gruppo dei diversi personaggi, fra i quali ci saranno la o le vittime, l’assassino, e tutti i sospettati. In alcuni casi tutta la scena si verifica addirittura su mezzi di trasporto in movimento, per garantire l’impossibilità che l’assassinio sia stato compiuto da qualcuno proveniente dall’esterno: è il caso di Assassinio sull’Orient Express, ambientato sul treno, Poirot sul Nilo, su una nave, e Delitto in cielo, su un aereo. Le vicende di Non c’è più scampo riguardano la ristretta comunità che lavora su alcuni scavi archeologici in Iraq; Macabro Quiz si svolge in una scuola, mentre Corpi al sole è ambientato su un’isola ben separata dalla terraferma (esattamente come in Dieci piccoli indiani). Agatha Christie scrisse 66 romanzi e 153 racconti gialli, oltre a 6 romanzi rosa, una serie di opere teatrali e radiodrammi, un’autobiografia, una cronaca di viaggio e altri lavori. Quest’anno, in occasione del 125° anniversario della sua nascita, è stato indetto un sondaggio per votare i suoi migliori racconti del crimine: il vincitore è risultato Dieci piccoli indiani, seguito da Assassinio sull’Orient Express e da L’assassinio di Roger Ackroyd (1926). Quest’ultimo romanzo, ambientato ancora una volta in un villaggio, è considerato in assoluto uno dei suoi più riusciti, e al momento della sua pubblicazione destò grande clamore, perché violava una delle regole fondamentali del decalogo di Knox. 
La domanda che ci resta da porci, a questo punto, è: perché? Perché si leggono e si scrivono ancora gialli? Che cosa rende il genere della crime fiction così irresistibile, da più di cent’anni a questa parte?