4 dicembre 2013

Ritratto di signora

Non è mai facile rispondere alla domanda "Qual è il tuo romanzo preferito?", anzi, sembra impossibile. "Preferito", poi è un aggettivo inadatto a classificare una lettura. Però, se proprio ci si deve pensare, e si passano in rassegna gli affollati archivi dei propri ricordi, qualcosa fa capolino, torna costantemente sotto l'occhio di bue della nostra attenzione, e alla fine si impone. Magari non sarà il romanzo "preferito", ma di certo sarà un libro che ha contribuito a forgiare la nostra visione delle cose e della scrittura. Nel mio caso si tratta di Ritratto di signora (The Portrait of a Lady) di Henry James. Perchè? Altra domanda ostica. Non so elencare i motivi di questa scelta, ma so per certo che è un romanzo traboccante di bellezza....
Nella piana di Gardencourt ondeggiano i fiori lievi, sospinti dal vento del crepuscolo; il Tamigi scintilla lontano, e nell’aria tersa si espande il silenzio. È la prima cornice del ritratto di Isabel Archer, una "rara apparizione" che racchiude nella sua intatta bellezza le profondità azzurre del fiume, e insieme la quiete del tardo pomeriggio. Tre uomini assistono all'epifania di questa bellezza, e usciti d’un tratto dall’ombra più o meno tragica delle loro sorti, prontamente respirano la freschezza di Isabel e si incantano di lei. La vita terrena del signor Touchett va disperdendosi nel silenzio dei giorni, e così il suo attaccamento alla nipote è solo mormorato, fievole, un ultimo soffio d’affetto prima dell’ultimo viaggio. Anche Ralph è gravemente malato, e poche sono le speranze che lo trattengono nella mondana esistenza. Isabel è per lui un colpo al cuore, una folgorazione inattesa: d’ora in poi egli vivrà per vederla, e null’altro, per contemplare tacitamente la sua espansione nel mondo invocando grandi promesse di libertà. E tuttavia il vero innamorato non è colui che solo osserva, ma colui che agisce, come lord Warburton: James non racconta il procedere del suo sentimento, bensì narra la raffinata potenza del suo esito nel momento supremo della dichiarazione alla donna. La conosce solo da poche ore ma il calore che lei irradia, luminosa come una stella nuova, l’ha già avvinto per l’eternità: "Per la vita, signorina Archer, per la vita". La dolcezza di Warburton, già nostalgica nell’istante stesso della sua espressione, eleva l’acutezza della sua sofferenza, che ogni innamorato respinto saprà interpretare come propria; la dignità del Pari inglese, scalfita dal rifiuto, è destinata a una perpetua ascesa. Ma l’istante contemplativo della loro convivenza è ormai estinto, nell’incompatibilità degli affetti, e d’ora innanzi la giovane e il lord non potranno più incontrarsi senza che l’aria dintorno si contamini di un sordo dolore, di un rimpianto irrisolvibile e della percezione stessa della rottura dell’incanto. Isabel, sospinta dalla sua ardente immaginazione, è tesa all’andare, all’indagine inesauribile dell’universo storico e artistico nonché della piccola mondanità sorretta dalle reti della alta conversazione. Isabel abbandona Gardencourt perché la sua mente  è troppo vasta, e tra quegli angusti confini, sebbene confortati da giuste amicizie, rischia di soffocare. È l’Italia l’eden da guadagnare, e la giovane vi si abbandona con l’impeto d’esplorazione di un’anima ancora in boccio e desiderosa di maturazione. Il fiore è ancora chiuso, turgido, fragrante nella sua ignoranza delle cose, misterioso nella sua altissima moralità. Da Firenze i movimenti di Isabel si aprono all’Oriente, lo percorrono, ne tornano via con frenetico affanno, come fossero un dovere, e la strenua fatica di allontanarsi dai suoi corteggiatori si fa insistente, ossessiva.
Isabel celebra la propria libertà finanziaria e immaginativa nell’esodo, dai bagliori dei tiepidi tramonti sull’Arno alle vette d’oro delle Piramidi che sprofondano nell’azzurro – mentre il bocciolo s’ingravida di conoscenze e sensazioni, lentamente s’incrina, esala fragranze dolcissime, e sfuggono piano alla sua stretta le cime dei petali screziati. Di colpo la giovane si scopre stanca di viaggiare, di quella fuga dall’amore: per giunta, c’è in Italia il seme di una nuova amicizia, il bandolo di un legame abbandonato e nondimeno sempre pulsante nel cuore. L’amore per Osmond è l’estate dei sensi per Isabel Archer: l’alcova dove elargire la sua bontà e dove rifugiare le aspettazioni, nutrendo a piene mani la fantasia. Isabel non cede alle ragioni oppostele dalla signora Touchett o da Ralph, e a dispetto di quella fresca presunzione con cui un tempo aveva respinto uomini chiari, seri, dal cuore ampio, la giovane sceglie Gilbert Osmond, creatura fragile come uno specchio ingannatore, la confederazione delle ombre, degli sguardi sottili, dal sorriso sfregiato dal sarcasmo. Lo sceglie perché in lui spera di trovare la forma perfetta della gratificazione e il piacere dell’intervento disinteressato che ambisce a bonificare un terreno incolto e nascostamente malsano. Caspar Goodwood e lord Warburton erano come vasti campi di sole dove perdersi nella spensieratezza di una corsa a perdifiato verso l’orizzonte; ma Isabel ne è stata distratta dalla trappola dell’immaginazione perversa dall’egotismo, che la scaglia contro una reale infelicità. In questa infelicità non respira nemmeno la speranza, poiché l’orgoglio innalza cancelli di scuro ferro intorno al suo palazzo romano, sempre infestato da visitatori ciarlanti e mai, mai rallegrato – com’era la lontana Gardencourt, lontana nelle miglia e nei ricordi – dalla pacata e spesso tacita amicizia di grandi uomini. La luce di Isabel, così calda e intensa, che era solita dilatarsi nella spaziosità di anime elette, è ora confinata tra le feritoie di una casa maritale sovraccarica di cose morte e facce stantie, come una necropoli dimenticata. Il suo ritratto è ora vestito di nero, ed è il vano squadrato di una porta antica a incorniciarlo.
La campagna del Somerset.
Foto di Mara Barbuni (2007)
I declivi verdi della campagna, i richiami delle rondini sul cielo striato della sera, la meraviglia delle pietre antiche e dei dipinti eccelsi defluiscono nelle lacrime rade della donna, il solo splendore che lei possa ancora emanare. La morte di Ralph, il caro Ralph, raccoglie nel suo freddo ventre le ultime gocce della passione di Isabel e la deposizione ultima degli alti voli della sua fantasia. Isabel ha perduto la sua capacità immaginifica, e nondimeno rimane una creatura poetica, nell’afflato di nostalgia degli sguardi lontani, nel racconto appena intonato del suo dolore, e nelle sue memorie, quando, di tanto in tanto, ricorda Gardencourt, "qualcosa di sacro, con quelle immense camere scure dove l’edera cupa frastaglia gli stipiti delle finestre luminose".