16 agosto 2012

Il quadro che uccide

Giusto un anno fa ho scoperto una serie di romanzi di Iain Pears (autore del bestseller La quarta verità) di cui ho parlato nel post "Storie dell'arte". Dopo una vera scorpacciata di questi racconti nell'agosto del 2011, favorita dalle lunghissime ore trascorse in auto tornando dal mio viaggio in Inghilterra, avevo accantonato tale cosiddetta "Serie di Jonathan Argyll", e solo questa settimana ho deciso di recuperare il bandolo della matassa e riprendere a seguire le vicende di Jonathan (mercante d'arte) e Flavia (poliziotta impiegata in un fantomatico nucleo per le indagini e il reperimento di beni culturali). E non ho fatto male. 
L'estate, soprattutto nelle sue ore più calde, è per me un ottimo periodo per dedicarmi a gialli, misteri, inganni e simili amenità (subito dopo pranzo Rete4 propone quei veri gioielli che sono gli episodi della serie "Agatha Christie's Poirot", niente di meglio!): e questo Il quadro che uccide, proprio in un momento simile, è stata una scoperta molto positiva. E' forse il migliore dei romanzi della serie che ho letto finora, perché aggiunge un tocco in più alle consuete felici peculiarità della scrittura di Pears. 
Se gli altri libri, infatti, si sono contraddistinti per la trama complessa, la sottile ironia nella descrizione perfetta del personaggio di Jonathan (che lo restituisce ai nostri occhi quasi come un uomo in carne, ossa, spirito e infiniti difetti caratteriali) e la vivacità nella raffigurazione degli ambienti (Londra, Venezia, Roma, Parigi - quali luoghi potrebbero far sognare di più un lettore?), Il quadro che uccide eccelle per la proposta di una storia "gialla" che guarda anche indietro nel tempo, risuscitando le difficili esperienze e le drammatiche conseguenze della seconda guerra mondiale nell'ambito delle relazioni franco-tedesche. Il racconto della tragedia della resistenza e della lotta partigiana e la riflessione sull'impossibilità del presente di fare i conti con il proprio passato strisciano nell'impianto già ben strutturato della detective story classica e vi si integrano alla perfezione, emergendo ad una posizione prioritaria proprio nel momento finale, dello scioglimento della narrazione (dolorosamente non catartico) e della soluzione dell'enigma degli omicidi. Questa divagazione, così ben costruita da poter essere quasi estrapolata nella forma di un racconto breve indipendente, conferisce al romanzo una sorta di dignità letteraria cui gli altri della serie, nati molto probabilmente con altre intenzioni, non assurgono. 
Da narratore di prim'ordine qual è, Iain Pears ha scritto storie che sono ben interconnesse, ma anche indipendenti l'una dall'altra. In definitiva, se non vi va di procurarvi una mezza biblioteca (i libri della serie sono sette) vi consiglierei di leggere il primo, Il caso Raffaello, che ci presenta Jonathan e ce lo fa conoscere, e Il quadro che uccide, molto apprezzabile, forse, anche da chi diversamente da me non ama sprofondare nelle storie di Hercule, Sherlock, e dei loro esimi colleghi.