12 giugno 2012

Un incantevole aprile

La scuola è finita, e nonostante fuori stia piovendo abbondantemente come in pieno ottobre, si sente aria d'estate, e si contano i giorni per le tanto attese vacanze. Stamattina, svegliata prestissimo dal rumore del temporale, ho terminato Un incantevole aprile di Elizabeth von Arnim, la cui lettura è stata davvero come una piccola ma deliziosa vacanza. La trama è delicatissima, quasi impalpabile, il ritmo è sonnolento, lo stile prezioso, ma di quel prezioso che sa un po' d'antico - eppure questo libro è quasi un incantesimo, un sogno ad occhi aperti che riesce ad annullare il resto del mondo magnetizzando il lettore, assorbendo i suoi pensieri, tacitando ogni irritazione, trascinandolo dolcemente dentro le sue pagine. Il tema che sostiene la storia è estremamente facile: dal clima umido e ostile di un marzo londinese, dove la quotidianità si svolge all'insegna del senso del dovere e delle restrizioni fisiche ed emotive (siamo nel 1922), quattro donne si spostano per una vacanza imprevista in un castello ligure, sulle colline che si affacciano sul Golfo dei Poeti. 
Le quattro protagoniste nella versione cinematografica
di Mike Newell (1992)
Il sole che si rovescia sui giardini, la vista del mare scintillante e l'opulenta profusione di fiori della tenuta di San Salvatore operano sulle quattro turiste una più o meno lenta trasformazione interiore, inducendole ad accantonare i loro pregiudizi e i loro sensi di colpa. Uno dei più ricorrenti motivi della letteratura inglese - l'Italia quale luogo di abbandono e di sensualità - rifulge di bellezza in quest'opera; le descrizioni naturali sconvolgono per la loro abbondanza, e ci sembra quasi di essere travolti dalla luce del giorno che riscalda le ossa e il cuore delle protagoniste. Mrs Wilkins, la prima ideatrice del progetto della vacanza, si scioglie completamente sulle colline della Liguria tentate dagli anticipi dell'estate, e arriva persino a sentire la mancanza di un marito che a casa non riusciva più a sopportare. Mrs Fisher, l'anziana rappresentante di un'Inghilterra vittoriana ormai già morta, scura, fredda e polverosa, si sente "germogliare dappertutto", e avverte il bisogno di sentimenti di affetto e gentilezza ben distanti dalla sua usuale gelida e artefatta cortesia. Lady Caroline, letteralmente scappata in Italia per allontanarsi da famiglia, amici e ammiratori troppo insistenti, riscopre il piacere della compagnia e dell'amicizia ma soprattutto riscopre se stessa, e Rose Arbuthnot, che per i suoi dubbi, i suoi cambi d'umore e la sua repressa irrequietezza è forse il personaggio più vivido del quartetto, ringiovanisce come una pianta in primavera, riacquistando la morbidezza, il profumo, lo splendore dei suoi vent'anni. 

Anche l'accostamento della figura muliebre con la vitalità vegetale è tipico di tantissima letteratura (ne parlo in un altro post, Un libro, un giardino). Qui questo tema è sviluppato in tutta la sua pienezza, alla ricerca dell'espressione più intima della femminilità: le corolle accese, gli steli languidi, le foglie fragranti sommerse dal calore del sole sono manifestazione delle donne che tralasciano gli usuali costumi di sobrietà e costrizione per indugiare in comportamenti allegri, affettuosi, aperti e armonici. Voglio riportare un passo davvero significativo:
«Su entrambi i lati della scalinata di pietra vi erano pervinche in fiore, e adesso [Rose] riusciva a vedere quel che la notte prima le era venuto addosso, umido e profumato, carezzandole il viso. Era glicine. [...] Il glicine ricadeva su se stesso in un accesso di vitalità, in una prodigalità di fioritura; e dove finiva il pergolato il sole splendeva su cespugli di gerani scarlatti, masse di nasturzi, calendole così accese che pareva stessero bruciando, bocche di leone rosse e rosa. [...] Oltre questo spettacolo fiammeggiante il terreno degradava a terrazze verso il mare, e ogni terrazza era un piccolo frutteto. [...] Pareva che avessero rovesciato ovunque del colore; di ogni genere, in ogni quantità, a fiumi» (traduzione italiana di L. Balacco).
Contrariamente al solito, ho scoperto questo libro grazie al film, che allo stesso modo merita di essere preso in considerazione; se è una forte mancanza il fatto di dover rinunciare alla scrittura di von Armin, trasparente e fresca come un ruscello, la versione cinematografica regala allo spettatore le stupende immagini della Liguria di tarda primavera, aiutandoci ad entrare ancora di più, se possibile, nel piccolo mondo delle quattro amiche e del loro  straordinario, incantevole aprile.