5 marzo 2012

Un libro, un giardino


La lettura in corso di questi giorni, The Language of Flowers di Vanessa Diffenbaugh (l'idea di partenza è molto curiosa e accattivante, anche se il personaggio della protagonista non mi ha ancora convinta...), mi ha fatto ritornare con il pensiero a numerosi altri libri in cui i fiori, le piante, e in senso più esteso la realtà metamorfica e misteriosa dei giardini rivestono un ruolo principale nello svolgimento degli intrecci. 
Personalmente, forse anche in conseguenza di tutte le mie (tantissime!) letture britanniche, sono molto affascinata dai giardini all'inglese, quei grovigli di vita dove rimangono intrappolate le scintille di tutte le anime che vi sono passate. I giardini lussureggianti, densi di chiaroscuro, non possono fare a meno di effondere un senso di mistero: a guardarli sembra sempre che fra le radici si possano nascondere ricchissimi scrigni, che sotto le panchine deserte si possano trovare lettere d'amore che l'umidità sta cancellando giorno dopo giorno, che le cortecce intagliate possano risvegliare racconti e segreti inghiottiti dal tempo. Il motivo del giardino (spesso celato, o proibito) è centrale in tanta letteratura vittoriana e tardo vittoriana, poiché rappresenta ed è simbolico di sentimenti e di sensualità doverosamente represse. Dietro i cancelli semichiusi, nell'intrico dei rami, nell'opulenza del fogliame e nell'irrefrenabilità della procreazione naturale l'uomo vittoriano riflette segretamente la propria innata animalità, che è impossibilitato ad esprimere socialmente. 
J. W. Waterhouse, 1908
The Soul of a Rose
E allora dentro la cinta in mattoni o in ferro battuto, che nonostante gli sforzi non riescono a contenere la sfrenata ubertosità del giardino, si apre un'infinita varietà di possibili racconti o di possibili scritture, le cui parole fioriscono nella nostra immaginazione come fioriscono le rose selvatiche, e come l'erica s'inerpicano nei nostri ricordi. 
In The Secret Garden (Il giardino segreto) di Frances Hodgson Burnett, sublime esempio di letteratura vittoriana per l'infanzia - o meglio, sull'infanzia - la riapertura del giardino a lungo negato si associa all'estrinsecazione del carattere caldo ed esotico della piccola Mary Lennox e al tentativo di risvegliare la fisicità di Colin Craven, il cugino malato e costretto a letto. E The Forgotten Garden (Il giardino dei segreti, Speling&Kupfer) di Kate Morton, pur essendo un romanzo dei giorni nostri, recupera lo spirito vittoriano nella storia della riscoperta di un giardino a lungo dimenticato che ha il potere di restituire a una famiglia la sua identità.
La grande letteratura del tardo Ottocento non ha potuto esimersi dalla manifestazione della bellezza dei giardini inglesi nella loro intonazione con i turbamenti dell'animo umano.
Un bellissimo saggio, pubblicato dalla professoressa Giulia Pissarello negli atti di un convegno tenutosi all'Università di Venezia (Pictures of Modernity. The Visual and the Literary in England, 1850-1930, Venezia, Cafoscarina, 2008, pp. 171-182) esamina il ruolo delle piante e dei fiori nella letteratura di D.H. Lawrence e di Virginia Woolf. Il saggio è criticamente ottimo, ma come si sa ciò che mi preme di più in questo mio blog sono i passi dai romanzi; riprendo allora da quel lavoro solo una tra le citazioni da Figli e amanti di Lawrence (Capitolo 1, Garzanti, 2000):
J.W. Waterhouse, 1905
Psyche Entering into Cupid's Garden
"[La signora Morel] si accorse di qualcosa che stava penetrando nella sua coscienza e con uno sforzo cercò di capire di cosa si trattasse. Gli alti gigli bianchi s'inchinavano dolcemente nella luce lunare, e l'aria era satura del loro profumo, come di una presenza. La signora Morel ebbe paura, il respiro le si fece un po' affannoso. Sfiorando i petali di quei grandi fiori pallidi, ebbe un brivido. I gigli parevano schiudersi al chiar di luna. Infilò la mano in una di quelle grandi corolle bianche: in quella luce pallida, l'oro si distinse appena sulle sue dita. Si chinò per vedere il polline giallo di cui era pieno il calice, ma scorse soltanto un'ombra. Bevve allora un lungo sorso di quel profumo, che le diede quasi le vertigini."
I dipinti che ho inserito qui  mi sono sembrati la perfetta rappresentazione di questo sentire fin de siécle, ossia di quella commistione sinestetica tra visualità, olfatto e delicata carnalità che contraddistinse l'arte del periodo. Sono due opere di John William Waterhouse, che fu fra gli ultimi preraffaelliti e ne ereditò i motivi ricorrenti: la figura femminile a confronto con la naturalità in una vertigine di linee languide e involute.
Sono i giardini i protagonisti preponderanti della pittura preraffaellita: mondi enigmatici e conturbanti dove l'anima e la corporeità umane sembrano lentamente perdersi e svanire nella natura, gradatamente consumati da un latente senso di tragedia.